Cronache dal fronte bergamasco
Febbraio-Marzo
Se ripenso a Febbraio 2020, quando tutto
ebbe inizio, le prime cose che mi vengono in mente non riguardano la pandemia,
il paziente Zero o le corse al supermercato. No...la prima cosa che mi viene in
mente è la sera di San Valentino, quando andai per l’ultima volta al cinema con
mio marito a vedere “Jo Jo Rabbit” dopo essere stati in pizzeria. Quella è
stata l’ultima serata davvero spensierata prima di essere investiti dallo
“Tsunami Covid”. Ricordo com’ero vestita, truccata, ricordo gli stivali con i
tacchi e l’allegra spensieratezza di una serata libera, senza i figli. Una
pizza in centro, una passeggiata tra le vie storiche di Bergamo bassa, ancora
senza mascherine, ancora senza avere paura di incrociare altre persone... e poi
fare la fila per i biglietti del cinema, non un multisala, ma il nostro amato
San Marco, poco sotto le Mura di Città Alta. Quanto mi manca il cinema. Ci
andavo spesso prima.
Quella non è stata l’ultima volta che ci
sono andata. Pochi giorni dopo, il 19 Febbraio, ho portato la mia mamma al cinema
dell’oratorio. L’atmosfera però quella sera era già cupa. Qualcuno in sala
tossiva e si sentivano risatine nervose “Ueh, non avrà mica il covid?”.
Pochi giorni dopo chiudevano le scuole,
i supermercati venivano saccheggiati come se ci fosse stata un’invasione zombie,
a Bergamo si registrava la prima vittima (ufficiale) del covid, la quarta in
Lombardia.
Io continuavo a essere stranamente
ottimista, ricordo le telefonate con le mie amiche “Dai, ma come fanno a
chiudere le scuole per due settimane? Ma sono pazzi?”
A ricordarlo ora sorrido pensando a
quanto fossimo ingenui e ancora ignari.
Mio marito aveva cambiato lavoro da tre
settimane, neanche il tempo di conoscere i nuovi colleghi e ambientarsi che era
già in smart working. I bambini era meglio che non stessero dai nonni perchè era
pericoloso considerando che per il genere di attività che svolgo vedevo, mio malgrado, ancora parecchia gente.
Continuai ad andare in ufficio senza che ci fosse concesso di lavorare da casa fino al 23 Marzo con la consapevolezza che i
miei bambini erano un po’ abbandonati a loro stessi in quanto il padre , ancora
in prova per il nuovo lavoro, non poteva
permettersi distrazioni.
Ogni sera stilavo un dettagliatissimo
programma per il giorno dopo, in modo che non dovessero disturbare il papà che
stava lavorando e spesso era collegato con i colleghi su Meet o Zoom.
caricavo le lezioni per Stella dal registro elettronico, le facevo la scaletta di come suddividere le lezioni durante la giornata (per la sua classe non erano previste lezioni on line, ma solo lezioni da scaricare dal registro elettronico), lasciavo scritto cosa cucinare per pranzo e lasciavo spunti su come occupare le ore di svago della giornata. Il più piccino andando alla materna non aveva ovviamente l’impegno della DAD – Didattica a distanza - sigla che abbiamo imparato tutti nostro malgrado a conoscere,allora per tenerlo impegnato gli stampavo delle schede da colorare o gli lasciavo il materiale per fare dei lavoretti creativi.I bambini durante quel mese assurdo furono davvero bravissimi: apparecchiavano da soli, aiutavano il papà a cucinare, avevano imparato a gestirsi il più possibile autonomamente perchè avevano capito che il papà doveva lavorare e dare il massimo.
Io andavo al lavoro angosciata, le
notizie a Bergamo erano sempre più tragiche. Io non penso che nelle altre città
si sia percepito davvero lo spessore della tragedia che stavamo vivendo a
Bergamo e in particolare nei paesi di Nembro e Alzano. I miei suoceri abitano a
Selvino, un paese in montagna in Val Seriana: a Marzo hanno avuto tanti morti quanto in 12 mesi nel 2019.
Ogni giorno il mio cellulare
riceveva qualche brutta notizia: molti miei amici hanno perso i nonni, alcuni i
genitori, in modo atroce, senza poter stare loro accanto. Li hanno visti entrare
in ospedale e uscire in una bara, a
volte li hanno “rivisti” in un’urna, già cremati.
Una mia collega ha perso l’amico d’infanzia
e vicino di casa, di soli 36 anni. Uno dei morti più giovani di Covid in
Italia. Una mia amica ha perso la sorella di 43 anni. Non voglio annoiarvi con
una lista che potrebbe sembrare sterile, perchè non sarebbe bello per voi che
leggete e non renderebbe giustizia a quei morti, ma vi posso dire che ogni giorno
ricevevo queste comunicazioni tragiche. Al lavoro aspettavo la pausa pranzo con
ansia per leggere le notizie su internet...ma non erano confortanti.
Uscivo dal lavoro alle 17e30, andavo a
fare la spesa per i miei genitori che vedevo di sfuggita, adagiando la spesa
sullo zerbino assieme al Corriere della Sera. Poi correvo a casa dai miei
bambini, aiutavo Stella a caricare i compiti sul registro elettronico e dopo
averli messi a letto riprogrammavo la giornata per il giorno dopo.
Aprile
Finalmente dal 23 Marzo rimasi a casa. Ci diedero la Cig straordinaria per il covid. Prendevo meno stipendio, ma non mi importava perchè almeno potevo stare al sicuro a casa mia e seguire i miei bambini per bene, soprattutto Stella che aveva la DAD, ma anche Riccardo che poverino si annoiava. Per fortuna le sue maestre della scuola materna si organizzarono per tenerli impegnati anche a distanza. Ogni giorno sul gruppo whatsapp che avevamo creato mandavano lavoretti da fare, video con canzoncine, audio dove le maestre leggevano loro delle fiabe. Ogni mercoledì avevano programmato una lezione on line sulla piattaforma Meet così i bambini potevano rivedere le maestre e i compagni.
Le giornate ormai avevano una loro routine e un loro ritmo, cercavamo anche di sfruttare il balcone il più possibile, faceva caldino già a fine Marzo e non avendo un giardino il terrazzo ci ha salvato e ci ha permesso di prendere un po’ di vitamina D ogni giorno. Cercavamo anche di tenerci in movimento seguendo esercizi di ginnastica per bambini e baby yoga su you tube
Cucinavamo anche un sacco, per fortuna ai miei bambini piace, facevamo crostate, torte, biscotti, pizze, focacce...il mio panettiere aveva sempre i cubetti di lievito di birra che sembravano scomparsi dai supermercati e me li teneva da parte.
Cercavamo di fare il più possibile la spesa on line, ordinando soprattutto dai piccoli negozietti di quartiere che vendono un po’ di tutto; ci mettevamo d’accordo anche tra vicini o con i miei genitori che sono nell’altra scala dello stesso complesso, così facevamo fare meno giri ai commessi che si erano tutti organizzati per fare le consegne a domicilio. A un certo punto però mi stufai e iniziai ad andare io di persona a fare la spesa dall’ortolano a 100 metri da casa mia. almeno avevo una scusa per uscire. Era la mia uscita mondana...guanti , mascherina , mega sacchettone di stoffa per portare la spesa. Telefonavo ai miei genitori e a una vicina che era sola con i bambini e prendevo “le ordinazioni”. Uscivo e facevo il giro lungo, assaporando il sole sulla testa, l’aria in faccia, osservando le strade deserte della mia città e come la natura si stesse riappropriando dei propri spazi. Le aiuole sembravano una giungla, i fiori selvatici spuntavano in ogni crepa dei marciapiedi e delle strade. Non passava un’ auto. L’aria profumava di pulito, era la primavera più bella che io ricordassi. Complice l’assenza di inquinamento acustico, gli uccelli sembravano così chiassosi da stordirmi. Arrivavo dal fruttivendolo e mi mettevo in fila fuori aspettando il mio turno e se si trovava qualche conoscente o vicino di casa era una festa perché, mentre eravamo in fila, si poteva chiacchierare. Tutti avevano voglia di contatto umano, anche con i commessi non ci si limitava a dare l’elenco della spesa, ma si facevano sempre quattro chiacchiere.
Era arrivato Aprile già da qualche giorno quando il padre della migliore amica di mia figlia, nostro amico e vicino di casa, fu portato via in ambulanza per una polmonite bilaterale interstiziale: era covid. Dopo pochi giorni fu dimesso perchè stava meglio, era giovane, 51 anni , con una bomboletta dell’ossigeno e un saturimetro se la sarebbe cavata, bisognava liberare i posti. All’Ospedale Papa Giovanni era infatti ancora Il Caos. Il nostro vicino tornò quindi a casa, shockato da quello che aveva visto: la sua vicina di letto era morta vicino a lui e i medici avevano avuto modo di avvisare i figli solo dopo parecchie ore.
Dopo una settimana stette male nuovamente: un forte dolore alla gamba e al petto, il fiato che non saliva e di nuovo in ospedale....era un’embolia, proprio in quel periodo grazie anche alle prime autopsie fatte all’ospedale di Bergamo si scoprì che molti morivano non di polmonite, ma di complicazioni legate al covid ,soprattutto dovute a trombi e coaguli che si formavano nel sangue a causa dell’infiammazione provocata dal virus.
La moglie era a casa con la bambina di 9 anni e il bambino di due anni e mezzo. Non sapevamo come essere utili, non ci si poteva vedere nè tantomeno abbracciare, allora per far sentire la nostra vicinanza portavamo loro delle torte o dei dolcetti e delle letterine e disegnini fatti dai miei bimbi.
Arrivò Pasqua e il nostro amico e vicino di casa era ancora ricoverato ma stava meglio. Successe però una cosa bellissima: noi e altri vicini ci lasciammo a vicenda fuori dalla porta assaggi delle specialità che avevamo preparato per il pranzo pasquale oltre a ovetti per i bimbi e piccole sorprese.
Quel giorno facemmo uno strappo alla regola, dopo esserci vestiti a festa anche se avremmo ovviamente pranzato in casa, andammo a suonare alla porta dei miei genitori che abitano nello stesso condominio ma in un’altra scala e gli portammo un uovo di Pasqua e dei lavoretti che avevano preparato i bambini, tra cui una ghirlanda pasquale da appendere alla porta. Ci fermammo in casa, in piedi sulla porta, solo per 5 minuti, con le lacrime agli occhi, commossi e malinconici perchè la felicità di un pranzo insieme era lì a portata di mano eppure impossibile da fare ed era inevitabile sentire l’eco delle Pasque degli anni passati, con loro, con gli zii e i cugini. Rivederli e fare loro vedere i bambini anche se per pochi minuti fu bello e triste allo stesso tempo.
A Pasquetta invece ci ingegnammo a fare un pic nic sul terrazzo in video chiamata con gli amici della compagnia storica con i quali ogni anno a Pasquetta, cascasse il mondo, si stava insieme...che fosse una tavolata nella casa in collina delle sorelle Techel o il pranzo sui tavoloni degli Alpini sul Monte Bastia o in caso di pioggia un pranzo a casa di uno di noi. Anche in quell’occasione sentimmo un groppo in gola e la percezione vivida di quello che ci era stato tolto.
Aprile a Bergamo fu ancora un mese duro, quando scrivevo un messaggio su whatsapp il correttore automatico appena scrivevo “Ciao..” mi proponeva la parola “Condoglianze” perchè in quei giorni purtroppo la scrivevo spesso. Per fortuna la nera mietitrice non aveva colpito troppo vicino a me, i miei parenti sono tutti o a Milano o a Bari e i miei genitori nonostante l’età e la cardiopatia di mio padre, superarono il covid (ebbene sì...non risparmiò nè loro nè me, mio marito e i miei figli) senza strascichi pesanti se non dal punto di vista psicologico.
Forse leggendo penserete che io stia esagerando, ma qui nessuno cantava sui balconi. Per tutto il mese di Marzo e buona parte di Aprile la colonna sonora era stata il suono delle ambulanze, andavamo a letto con il loro suono nelle orecchie e venivamo svegliati dallo stesso, a volte nel cuore della notte. Quando l’ambulanza si fermava troppo vicino a noi, si sentivano i rumori di tante tapparelle che venivano alzate, compresa la nostra, e si guardava dalla finestra sperando che non fosse qualcuno che conoscevamo.
Se vi siete chiesti guardando i TG se le immagini delle camionette militari che portavano via le bare fossero vere, vi confermo di sì. Quelle immagini sono state girate in via Borgo Palazzo, la via parallela a quella in cui vivo.
Maggio...
Per fortuna verso fine Aprile le cose iniziarono a migliorare e finalmente a Maggio, piano piano, abbiamo potuto riassaporare la libertà di uscire e vedere amici e parenti seppur con tutte le cautele.
La prima uscita con i miei bambini fu stranissima...erano straniti dopo due mesi e mezzo chiusi in casa però devo dire che si sono abituati in fretta a portare le mascherine.
Non è stato facile vivere per due mesi e mezzo in 74 mq in quattro, con un bambino di soli 4 anni e una bambina di 9. Abbiamo dovuto davvero allenare la fantasia per farci bastare quelle mura dove concentrare tutta la nostra vita: l’istruzione, il lavoro, lo svago e il divertimento. Rimanere sempre, sempre, sempre insieme in così poco spazio e senza nemmeno un giardino dove far sfogare i bambini. Di sicuro c’era chi stava peggio, ma comunque se ripenso a quei mesi non so come abbiamo fatto. Ci siamo fatti bastare il nostro terrazzino che è stato letteralmente la nostra finestra sul mondo. Da lì abbiamo assistito alla fioritura dei ciliegi selvatici e dei tigli, alle prove di violino del dirimpettaio, agli aperitivi dei quatto studenti universitari della palazzina di fianco e alle tre studentesse sopra di loro che trasformavano il balcone in una spa, facendosi unghie e capelli a vicenda e ascoltando musica a tutto volume. Da lì vedevamo il gattone bianco della casa rossa di fronte alla nostra che si appollaiava sul davanzale della finestra del bagno: a volte mi sembrava che ci guardassimo a vicenda.
Sempre sul nostro balcone abbiamo assistito alla cova di una coppia di merli che aveva fatto il nido proprio nella mia fioriera: abbiamo visto la schiusa delle uova e il loro primo volo. E’ stato emozionante e l’avevo visto come un segno di buon auspicio.
Effettivamente poi le cose con l’estate sono sembrate tornare quasi a posto: io sono tornata al lavoro, i bambini sono tornati dai nonni durante il giorno, abbiamo ripreso a vedere gli amici, a fare gite in montagna (ricordo ancora la prima gita alle sorgenti del fiume Enna...l’emozione di preparare gli zaini e gli zainetti la sera prima e di puntare la sveglia per alzarci presto) , grigliate, biciclettate...se non fosse stato per la mascherina sarebbe sembrata un’estate come tante altre.
Chi se lo aspettava un altro autunno e inverno così? Certo la situazione, almeno qui a Bergamo , non è nemmeno lontanamente paragonabile all’inferno vissuto a Marzo e Aprile 2020, ma queste restrizioni e limitazioni alla nostra libertà iniziano ad essere veramente insopportabili, forse perchè adesso davvero non ne colgo il senso.
Questa esperienza credo ci segnerà a lungo psicologicamente, forse l’unico lato positivo è che quando piano piano torneremo alle nostre libertà, riusciremo ad apprezzarle ancora di più e a non darle per scontate e ogni piccola cosa che ora ci è preclusa avrà un sapore diverso. A fine anno mi sono guardata indietro e ho capito che comunque avrei ricordato il 2020 non solo per la pandemia e per il mio primo capello bianco (anzi i primi tre capelli bianchi, che le sfighe si sa non arrivano mai da sole), ma anche per le tante cose belle che ci avevamo infilato in mezzo... Ammetto però che un grande aiuto mi è venuto dal fatto di essere madre, i miei figli sono stati la chiave di tutto, se non ho dato i numeri e ho conservato la lucidità, il sorriso e l’allegria anche nei giorni più brutti dello scorso lockdown, quando ero ancora stordita dalla rapidità con la quale le nostre vite erano state stravolte, lo devo a quei due monelli che mi girano per casa condividendo con me metà del mio patrimonio genetico.
Mi scuso per essere stata prolissa, ma purtroppo non ho il dono della sintesi...anzi, mi sono anche limitata perchè di cose da raccontare ne avrei avute ancora e quando scrivo divento un fiume in piena. Anzi ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui.
un racconto di vita familiare come in tanti hanno vissuto. Qui traspare la sensibilità di una mamma che in tante difficoltà riesce anche a cogliere momenti direi quasi idilliaci legati alla natura, ai vicini di casa... un miscrocosmo che le dà speranza.
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