domenica 21 marzo 2021


 UN ORIZZONTE NERO    

 

Sono un avvocato, ho 48 anni. Dopo una parentesi, post laurea, in cui ho esercitato la professione di Avvocato civilista, oggi svolgo un’ attività di tipo imprenditoriale completamente differente da quella forense.

In realtà questa attività c’è sempre stata già prima della laurea,l’ho portata avanti con molta difficoltà durante l’ attività legale con la quale ho cercato di conciliarla, oggi me ne occupo a tempo pieno.

E’ una attività di servizi, nello specifico mi occupo di organizzare eventi. Ho iniziato a lavorare durante i primi anni universitari fornendo servizi hostess per fiere, congressi, teatro ed eventi in generale che peraltro mi hanno visto impegnata in prima persona a rivestire i panni della Hostess. Poi è arrivata quell’occasione che capita nella vita e va afferrata senza riflettere tanto:l’ho colta, oggi lo posso dire, con una dose di sufficiente incoscienza mai pensando, che quel lavoro, nato per ricavare una autonomia finanziaria a sostegno degli studi universitari, potesse essere la mia attività lavorativa per la vita.  Così è stato, almeno sino ad oggi. Ho rilevato l’ agenzia per cui lavoravo e ne ho fatto una società che dai semplici e soli servizi hostess, si è evoluta negli anni, sino a diventare attività di organizzazione eventi a 360°.

E’ una attività che mi piace, che mi fa essere creativa e sempre a contatto con tante persone,le più diverse. Questo mi gratifica e mi ricompensa anche da un punto di vista economico.

E all’improvviso e inaspettata la pandemia!!! Cosa è cambiato?

Tutto. Nulla è più certo! Un’ attività imprenditoriale è sempre a rischio. Il rischio è già insito nel concetto stesso di imprenditorialità … per me ancora di più che vivo in una regione, la Calabria, dove ovviamente le opportunità di lavoro rispetto ad altre regioni sono già, di per sé, ridotte al lumicino. Siamo lontani dal mondo!!!

 Oggi,tuttavia, anche la parola rischio è un eufemismo.L’orizzonte che si apre davanti ai miei occhi è nero. La mia attività vive di aggregazione tra le persone, di convivialità, di rapporti umani in compresenza. Da quando è scoppiata la pandemia  tutto questo non c’è più; la mia grande preoccupazione è che non ci sarà ancora per molto tempo e anche dopo, superata la pandemia, il mio timore è che la diffidenza, il distanziamento a cui ci ha abituato, e l’esperienza dolorosa possano diventare parte integrante di noi, della nostra quotidianità.

Questo mondo globalizzato, dove già c’è chi preannuncia che dovremo fare l’abitudine alle pandemie, mi crea una sensazione di confusione.

Sicuramente abbiamo scoperto nuovi modi di  lavorare. Ma non tutti i i lavori si possono piegare a questa logica. Oltretutto così, pian piano, le relazioni umane andranno sempre più a morire.

Per me non lavorare non significa solo non avere un reddito che ovviamente rende complicato il sopravvivere,ma è molto di più: è frustrazione, depressione, avvilimento, solitudine per chi come me ha scelto di lavorare ,di investire, e ha fatto del lavoro il suo mondo!!

La mia ricetta? Ovviamente , come credo tutti, io non ho una ricetta, però sono certa che bisogna ricominciare e con  maggiore fiducia , sperando che i nostri governanti ci aiutino con le loro scelte … che, ad oggi, però non si vedono. Lo avevamo capito già da tempo, ma in questa occasione l’inefficienza è venuta fuori con tutta la sua potenza e deflagrazione.

Io personalmente non credo più a nulla di ciò che fanno e dicono e sono molto disgustata da tutto ciò a cui assisto quotidianamente. La ricaduta psicologica che sto affrontando per l’ insicurezza in cui vivo  da oltre un anno è seria e loro, tutti indistintamente, a parole sembrano esserne coscienti, ma nei fatti nulla cambia.

 

 

                                                       Daniela Caputo


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