COVID 19 ( Tiziana )
Ci è piombato addosso il 20 Febbraio
2020, mentre vivevamo le nostre vite quotidiane, magari pensando già a dove
andare in vacanza. L’ultimo giorno della mia vita normale l’ho vissuto il 19
Febbraio, un mercoledì. Con la UALZ sono andata in gita a Torino, a vedere il Museo Egizio. Una bella giornata,
in una bella città, a vedere un museo superlativo. Tutti in autobus, vicini
vicini, mentre a nostra insaputa il virus serpeggiava già sghignazzando. Che
sappia io, nessuno dei gitanti se l’è preso, meno male. Eravamo appena ripartiti per tornare a
Legnano, quando mi ha telefonato una mia amica proprio per chiedermi se a
luglio ci saremmo trovate sul lago di Garda. Ovvio che le ho risposto che mi
sembrava prematuro, che ci saremmo sentite più avanti. Appunto.
Poi, dal 24 febbraio, la nostra vita
è cambiata (per sempre? Non si sa) Prima in giro con le mascherine,(chirurgiche,
no meglio le FFP2, però può bastare anche una sciarpa!?!?) poi basta, nemmeno
più in giro, se non con l’autocertificazione. Non ho mai avuto veramente paura
di prendere il virus, anche perché vivo da sola, non ho né figli né nipoti per
casa, solo una gatta che non ha frequentazioni di nessun genere, per cui i miei
contatti familiari, vero?, sono limitati, anzi non esistono.
Quando uscivo per la spesa, ogni
quattro o cinque giorni, mi sentivo una latitante inseguita dalla Polizia,
anche se nessuno mi ha mai fermata. Dopo i primi giorni di clausura, ho
telefonato alla mia vicina di pianerottolo, Adele, e le ho detto: “Adele, da
quattro giorni non vedo una persona in carne e ossa, solo in televisione.
Potresti aprire la porta di casa tua? Io apro la mia e a distanza possiamo
almeno scambiare due parole” Lei non aveva questo problema perché vive con suo
marito, comunque ha esaudito il mio desiderio.
Tra le mie conoscenze per fortuna non
ci sono stati ammalati di Covid-19, perciò qui non voglio parlare del lato
drammatico di questo virus, ma fare solo qualche considerazione più leggera.
E no, non ho fatto il pane, le pizze,
le torte.
Per riempire le giornate, oltre a riordinare cassetti dimenticati da anni, svuotare e
ripulire la libreria, lavare e pulire dappertutto, ricorrevo al telefono.
Telefonate fatte e ricevute, tante.
Un giorno ho pensato che invece di
telefonare si poteva ricorrere alle videochiamate “Così ci vediamo in faccia,
non è meglio?” Non le avevo mai usate,
mi sembrava un modo per sentirci più vicine. Sullo schermo comparivano le facce
delle mie amiche, in stato “tanto non si esce”, cioè capelli un po’ in
disordine bisognosi di un parrucchiere impossibile da raggiungere (credo che
siano stati, in quei mesi, tra gli uomini più desiderati), niente trucco, facce
slavate.
Questo quando le vedevo, le facce,
perché il più delle volte non le vedevo perché le mie amiche tenevano il
telefono in viva voce appoggiato sulle ginocchia, o sul tavolo, motivo per cui
ho visionato tutti i soffitti e i lampadari delle case delle mie amiche. Io
tenevo il telefono davanti a me, come se mi guardassi allo specchio, per
rendermi visibile a loro. Alla mia richiesta: “Solleva un po’ il telefono, non
ti vedo in faccia” provvedevano alzandolo un po’, ma a questo punto vedevo i
loro sottogola, che alla nostra età sono sempre un po’ molli e cascanti.
Insomma, un disastro. In più con le videochiamate la voce si sentiva a tratti ,
con interruzioni, rendendo faticosa la conversazione. Alla fine abbiamo
rinunciato, tornando alle telefonate normali.
Un uso sconsiderato del telefonino è
stato fatto nei miei confronti per inviarmi di tutto e di più sul Coronavirus.
In un pomeriggio ho ricevuto da cinque amiche lo stesso video su “L’arte ai
tempi del coronavirus”. Aiuto! Poi
arrivavano video vari con riprese di Milano dall’alto, o frasi fatte di buon
augurio, tipo”Andrà tutto bene” , frase che come possiamo constatare, non ha
avuto molto effetto.
Anche Facebook, su cui ho contatti
tra persone che conosco nella realtà, è servito a fare un po’ di conversazione.
In quei giorni di clausura ho ripreso a dipingere e in poche settimane ho
dipinto tre quadri. Non potendo mostrarli a nessuno, li ho pubblicati su fb,
aspettando poi i commenti e i “mi piace” dei miei amici, virtuali e non.
Un altro aspetto , se vogliamo
futile, del virus è il crollo delle vendite di rossetti e fard. Ci avete mai
pensato? Chi di noi donne si mette più un filo di rossetto o il fard prima di
uscire? Credo nessuna. Servirebbero solo a sporcare la mascherina/museruola che
ormai fa parte irrinunciabile del nostro abbigliamento.
Parlando con le mie amiche, siamo
arrivate tutte alla conclusione che ormai ci sentiamo e siamo tutte un po’ trasandate.
Io, che usavo come gioiello solo gli orecchini, ormai non li metto più. Mi
sembra che non vadano d’accordo con la mascherina.
Non mi viene voglia di comperarmi
niente, perché le nostre vite sono
bloccate da troppi mesi e chissà per quanto tempo ancora.
A cosa serve comperarsi qualcosa, se
dobbiamo continuare a vivere così, in uno stato di continua allerta, praticamente
senza una vera vita sociale, aspettando ogni giorno il numero dei contagi che
ci
vengono non comunicati, ma urlati dai
vari telegiornali, come per rendere la notizia ancora più funesta?
A proposito di Covid, sapete cosa vuol
dire esattamente? No? Nemmeno io. L’ho cercato in Internet, naturalmente:
COVID-19 è l'acronimo di Co (corona); Vi (virus); D
('disease', malattia) e 19 (l'anno di identificazione del
virus).
Buona fortuna a tutti.
Tiziana Gironi – Legnano,
Un racconto che coglie aspetti difficili del periodo con una bella ironia che fa sorridere
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