sabato 20 febbraio 2021

 

  

 

Diario di Lucia durante il lockdown

(di Maria Grazia Dosio)

 

 «Mi chiamo Lucia, e sono una donna felice. Ho studiato lingue e ho lavorato alcuni anni come hostess per una nota compagnia aerea. Vivo in un piccolo appartamento alla periferia di Milano. Condivido la mia quotidianità con Pietro, il mio compagno, di cui sono profondamente innamorata. Da quando ho deciso di vivere con lui, per suo desiderio ho dovuto scegliere tra la mia vita professionale e la nostra vita di coppia, non ho potuto mantenerle entrambe. Ma l'amore è tutto, e la scelta è stata facile: ho scelto Pietro.

Mi chiamo Lucia, e sono una donna triste. Da quando ho scelto di lasciare il mio lavoro per amore, mi sono sentita un po' persa. Credo che riservare la mia vita completamente a lui sia una cosa giusta, ma non sto provando tutta quella gioia che credevo avrei provato. Mi manca una parte di me stessa. Ne ho accennato a Pietro, che non è stato contento: in fondo avevamo avuto modo di parlarne ampiamente prima di definire la nostra vita insieme, e la decisione era stata presa. Va bene, forse è ancora presto, sicuramente dovrò ancora abituarmi al cambiamento.

Mi chiamo Lucia, e sono una donna infelice. Mi ritrovo a vivere questo lockdown dovuto alla pandemia di Covid, chiusa in questo piccolo appartamento insieme ad un uomo sempre più esasperante e possessivo. Già da tempo maturava il mio disagio all'interno di questa vita diventata per me stretta e limitante, ma ora comincio davvero a sentirmi male. Non si può uscire, non posso vedere nessuno, non riesco a parlare liberamente al telefono, e devo mostrarmi sempre sorridente e contenta di questa pesante quotidianità così strettamente condivisa con lui. E' sempre più difficile.

Mi chiamo Lucia, e sono una donna disperata. La mia accondiscendenza nei confronti di Pietro sta vacillando, e, nell'accorgersi, lui è stato violento, e poi lo è stato ancora, e poi ancora. Ma non posso dirlo a nessuno. Non ho voce, neppure per chiedere aiuto al telefono. Vorrei farlo, ma non mi è possibile. Sono rinchiusa in questo lockdown d'inferno, e sono arrivata persino a desiderare di essere contagiata dal virus pur di poter chiamare un medico e avere la possibilità di allontanarmi da qui. Non so per quanto tempo potrò ancora resistere.

Mi chiamo Lucia, e mi sento una donna senza speranze.»

 

(N.B.: ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale, ogni riferimento a fatti realmente accaduti è assolutamente voluto.

Lucia parla a nome di tutte quelle donne che non hanno voce e che subiscono relazioni di violenza.

 

Stalking e violenza sulle donne durante il lockdown 2020: in Italia le richieste di aiuto al servizio telefonico antiviolenza 1522 da marzo a giugno 2020 hanno subito un incremento del 119% rispetto all'anno precedente (fonte Istat). Eppure si osserva che questo dato sia di fatto molto più basso rispetto alla reale emergenza, perché il lockdown, resosi necessario a causa della pandemia, ha forzato la compresenza delle vittime e dei conviventi violenti, e ha tolto la voce a quelle donne che non hanno avuto la possibilità concreta di far sentire la propria richiesta di aiuto. Ogni strumento di comunicazione è utile per restituire voce alle donne in difficoltà: mass media, comunicazione sociale, linguaggi artistici, qualsiasi mezzo è lecito. Restituire voce alle donne è un dovere sociale, perché molte di loro sono state vittime del virus, ma moltissime altre sono state vittime della violenza di coppia o famigliare nell’isolamento del lockdown, fino allo stremo delle forze. Per loro, il virus ha colpito due volte.

 



1 commento:

  1. Ho letto la testimonianza, prima e dopo le notizie di cronaca di questi giorni e vorrei fare una riflessione con voi, il Covid ha sicuramente peggiorato tutto e pensando alla mamma che si gettata nel fiume con suo figlio... seguita x depressione, la donna di Genova Accoltellata dal suo ex... Tutti conoscevano i retroscena, e le donne continuano a pagare il prezzo più alto. Cosa si deve fare? Io non ho trovato una risposta, ma forse non dovremmo più accontentarci di buone leggi, buoni propositi, buoni discorsi, buone commemorazioni, io sono stanca forse dovremo far sentire di più le nostre voci,farle arrivare a tutti come hanno fatto a Genova andare in piazza e gridare o sussussare i nomi delle vittime, ma non solo quando ormai non c'è più niente se non portare un fiore, un ricordo una preghiera, buona giornata

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