UN ORIZZONTE NERO
Sono un avvocato, ho 48 anni. Dopo una parentesi, post laurea, in cui ho esercitato la professione di Avvocato civilista, oggi svolgo un’ attività di tipo imprenditoriale completamente differente da quella forense.
In realtà questa attività c’è sempre stata già prima della laurea,l’ho portata
avanti con molta difficoltà durante l’ attività legale con la quale ho cercato di
conciliarla, oggi me ne occupo a tempo pieno.
E’ una attività
di servizi, nello specifico mi occupo di organizzare eventi. Ho iniziato a
lavorare durante i primi anni universitari fornendo servizi hostess per fiere,
congressi, teatro ed eventi in generale che peraltro mi hanno visto impegnata
in prima persona a rivestire i panni della Hostess. Poi è arrivata quell’occasione che capita nella vita e va afferrata senza riflettere
tanto:l’ho colta, oggi lo posso dire, con una dose di sufficiente
incoscienza mai pensando, che quel lavoro, nato per ricavare una autonomia
finanziaria a sostegno degli studi universitari, potesse essere la mia attività
lavorativa per la vita. Così è stato,
almeno sino ad oggi. Ho rilevato l’ agenzia per cui lavoravo e ne ho fatto una
società che dai semplici e soli servizi hostess, si è evoluta negli anni, sino
a diventare attività di organizzazione eventi a 360°.
E’ una attività che mi piace, che mi fa essere creativa e sempre a contatto
con tante persone,le più diverse. Questo mi gratifica e mi ricompensa anche da
un punto di vista economico.
E all’improvviso e inaspettata la pandemia!!! Cosa è cambiato?
Tutto. Nulla è
più certo! Un’ attività imprenditoriale è sempre a rischio. Il rischio è già insito nel concetto stesso di imprenditorialità
… per me ancora di più che vivo in una regione, la Calabria, dove
ovviamente le opportunità di lavoro rispetto ad altre regioni sono già, di per sé,
ridotte al lumicino. Siamo lontani dal mondo!!!
Oggi,tuttavia, anche la
parola rischio è un eufemismo.L’orizzonte che si apre davanti ai miei occhi è nero.
La mia attività vive di aggregazione tra le persone, di convivialità, di rapporti
umani in compresenza. Da quando è scoppiata la pandemia tutto questo non c’è più; la mia grande
preoccupazione è che non ci sarà ancora per molto tempo e anche dopo, superata
la pandemia, il mio timore è che la diffidenza, il distanziamento a cui ci ha
abituato, e l’esperienza dolorosa possano diventare parte integrante di noi,
della nostra quotidianità.
Questo mondo globalizzato, dove già c’è chi preannuncia che dovremo
fare l’abitudine alle pandemie, mi crea una sensazione di confusione.
Sicuramente abbiamo
scoperto nuovi modi di lavorare. Ma non tutti
i i lavori si possono piegare a questa logica. Oltretutto così, pian piano, le
relazioni umane andranno sempre più a morire.
Per me non
lavorare non significa solo non avere un reddito che ovviamente rende complicato
il sopravvivere,ma è molto di più: è frustrazione, depressione, avvilimento,
solitudine per chi come me ha scelto di lavorare ,di investire, e ha fatto del lavoro
il suo mondo!!
La mia ricetta?
Ovviamente , come credo tutti, io non ho una ricetta, però sono certa che
bisogna ricominciare e con maggiore
fiducia , sperando che i nostri governanti ci aiutino con le loro scelte … che,
ad oggi, però non si vedono. Lo avevamo capito già da tempo, ma in questa
occasione l’inefficienza è venuta fuori con tutta la sua potenza e deflagrazione.
Io personalmente
non credo più a nulla di ciò che fanno e dicono e sono molto disgustata da
tutto ciò a cui assisto quotidianamente. La ricaduta psicologica che sto
affrontando per l’ insicurezza in cui vivo da oltre un anno è seria e loro, tutti
indistintamente, a parole sembrano esserne coscienti, ma nei fatti nulla
cambia.
Daniela
Caputo
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