martedì 18 maggio 2021

 

Una decisione sofferta

 

 

Sono infermiera all’ospedale Sacco di Milano e quel 21 febbraio 2020 non me lo potrò più scordare finchè vivrò. Ero di turno la notte nella quale si scopri il paziente zero.

Era arrivato anche in Italia quel famigerato virus che ha portato via in solitudine i nostri anziani, mandato troppi  in ospedale, sconvolto la vita di tutti.

Non sto a raccontare le fatiche, le paure, le emozioni che ho vissuto  e nemmeno il senso di impotenza che attanagliava in quei giorni il personale sanitario. Sono tante le testimonianze che hanno riempito le pagine dei giornali, i messaggi, i notiziari …

Vi voglio invece raccontare quello che ho vissuto in famiglia per colpa di questa pandemia.

Immediatamente dopo la scoperta del primo caso, nel mio ospedale è stato allestito in tutta fretta il reparto covid. Si sapeva ben poco su come trattare i pazienti, non eravamo preparati ad affrontare questa crisi sanitaria e non posso nascondere che avevo paura. Per me, sì, certo, ma soprattutto per la mia famiglia: mio marito, i miei due figli – Edoardo di 7 anni e Caterina di 4 – e i miei genitori anziani. Le probabilità che io venissi contagiata in quel reparto e portassi a casa il virus erano davvero alte.

Il 19 marzo presi una decisione sofferta, ma trovai l’appoggio di mio marito: “ Io vado via di casa”.

Decisi di trasferirmi nella casa che fu di mia nonna e per tre mesi vissi lì, sola. Vedevo i miei bambini in video chiamata e passando sotto il balcone di casa dal quale mi salutavano e ai quali mandavo tutti i miei baci con le lacrime che ricacciavo indietro a forza.

Dopo due mesi ho cominciato a incontrarli due volte a settimana per mezz’ora, con le mascherine e tutte le precauzioni possibili; finalmente all’inizio dell’estate, quando la situazione  è migliorata sono tornata a casa mia.

Ma la normalità non può tornare come per magia, io ero provata nell’animo e lo era anche mio figlio. Lui era infuriato con me “ Odio il tuo lavoro!”  gridava, e ancora “ Io sono stato a casa da scuola e tu eri al lavoro!”

Aveva trattenuto tutto dentro di lui e al mio rientro è esplosa la sua rabbia. Troppo piccolo per capire fino in fondo la mia decisione. Per aiutare me e soprattutto lui  abbiamo iniziato una  terapia psicologica. Oggi sta bene, è tranquillo , ma a volte mi accorgo che sente ancora  il bisogno di essere rassicurato sui miei spostamenti, capisco che deve superare del tutto quello che per lui è stata una sorte di abbandono.

 

 

 

Quando i miei figli cresceranno capiranno  meglio le mie motivazioni; li aiuterà  la lettura delle pagine del diario sul quale ogni giorno di quei tre mesi  ho raccontato tutto: i miei vissuti, le mie emozioni , le mie frustrazioni, ma soprattutto ho lasciato parole piene di grande affetto per  i miei due cuccioli e per mio marito che  ha compreso le mie paure e rispettato  la mia decisione.

Sarà un grande  dono d’amore.

 

Elisabetta

 

 

 

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