Una
decisione sofferta
Sono
infermiera all’ospedale Sacco di Milano e quel 21 febbraio 2020 non me lo potrò
più scordare finchè vivrò. Ero di turno la notte nella quale si scopri il
paziente zero.
Era arrivato
anche in Italia quel famigerato virus che ha portato via in solitudine i nostri
anziani, mandato troppi in ospedale,
sconvolto la vita di tutti.
Non sto a
raccontare le fatiche, le paure, le emozioni che ho vissuto e nemmeno il senso di impotenza che
attanagliava in quei giorni il personale sanitario. Sono tante le testimonianze
che hanno riempito le pagine dei giornali, i messaggi, i notiziari …
Vi voglio
invece raccontare quello che ho vissuto in famiglia per colpa di questa
pandemia.
Immediatamente
dopo la scoperta del primo caso, nel mio ospedale è stato allestito in tutta
fretta il reparto covid. Si sapeva ben poco su come trattare i pazienti, non
eravamo preparati ad affrontare questa crisi sanitaria e non posso nascondere
che avevo paura. Per me, sì, certo, ma soprattutto per la mia famiglia: mio
marito, i miei due figli – Edoardo di 7 anni e Caterina di 4 – e i miei
genitori anziani. Le probabilità che io venissi contagiata in quel reparto e
portassi a casa il virus erano davvero alte.
Il 19 marzo
presi una decisione sofferta, ma trovai l’appoggio di mio marito: “ Io vado via
di casa”.
Decisi di
trasferirmi nella casa che fu di mia nonna e per tre mesi vissi lì, sola. Vedevo
i miei bambini in video chiamata e passando sotto il balcone di casa dal quale
mi salutavano e ai quali mandavo tutti i miei baci con le lacrime che
ricacciavo indietro a forza.
Dopo due
mesi ho cominciato a incontrarli due volte a settimana per mezz’ora, con le
mascherine e tutte le precauzioni possibili; finalmente all’inizio dell’estate,
quando la situazione è migliorata sono
tornata a casa mia.
Ma la
normalità non può tornare come per magia, io ero provata nell’animo e lo era
anche mio figlio. Lui era infuriato con me “ Odio il tuo lavoro!” gridava, e ancora “ Io sono stato a casa da
scuola e tu eri al lavoro!”
Aveva
trattenuto tutto dentro di lui e al mio rientro è esplosa la sua rabbia. Troppo
piccolo per capire fino in fondo la mia decisione. Per aiutare me e soprattutto
lui abbiamo iniziato una terapia psicologica. Oggi sta bene, è
tranquillo , ma a volte mi accorgo che sente ancora il bisogno di essere rassicurato sui miei
spostamenti, capisco che deve superare del tutto quello che per lui è stata una
sorte di abbandono.
Quando i
miei figli cresceranno capiranno meglio le
mie motivazioni; li aiuterà la lettura
delle pagine del diario sul quale ogni giorno di quei tre mesi ho raccontato tutto: i miei vissuti, le mie
emozioni , le mie frustrazioni, ma soprattutto ho lasciato parole piene di
grande affetto per i miei due cuccioli e
per mio marito che ha compreso le mie
paure e rispettato la mia decisione.
Sarà un
grande dono d’amore.
Elisabetta
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