Mamma al
lavoro al tempo del Covid:
Ogni tanto mi capita di pensare al passato, osservando di
sottecchi i miei due figli intenti nelle loro quotidiane scoperte e conquiste, altre
volte in concomitanza di qualche ricorrenza, l’inizio di un nuovo anno ad
esempio. Mi piace ripensare al punto di partenza, alle piccole tappe e ai
grandi traguardi.
Così ho fatto tra me e me, qualche settimana fa, con un
insolito ed intimo brindisi che congedava un inqualificabile 2020.
Ho provato a ripercorrere mentalmente quest’anno nel quale
avevo riposto tante, tantissime aspettative:
rientravo a gennaio a lavoro, con uno smisurato entusiasmo per
una straordinaria opportunità che sentivo di essermi guadagnata e meritata, con
i duri sacrifici fatti fino a quel momento, a seguito della mia seconda
gravidanza. Il mio bimbo aveva 7 mesi, la mia bimba 3 anni e poco più, un
lavoro appagante e conciliante con la mia nuova vita familiare a 4. Un nuovo
assetto durato ben poco, giusto il tempo di qualche settimana di rodaggio al
nido con il più piccolo e di un ricordo ormai sbiadito di una prima recita di
Natale per la maggiore, un colloquio con le insegnanti, le belle iniziative per
l’arrivo della primavera, la prima gita al museo che in cuor nostro aspettiamo
ancora. Poi, quel febbraio che difficilmente scorderemo. Scuole chiuse. E’ uno
scherzo ho pensato, come è possibile ipotizzare che di punto in bianco delle
famiglie possano gestire non una ma addirittura due settimane di chiusura??? Inconsapevole
della gravità dello scenario che si sarebbe aperto, lo confesso, il mio unico
pensiero ricordo essere stato questo.
E chi se lo aspettava il resto… chi mai lontanamente
immaginava che molto altro sarebbe cambiato, troppo in fretta, cogliendoci
impreparati da ogni fronte.
Chi se lo aspettava che di lì a poco si sarebbe diffuso il
più inquietante dei dizionari: lockdown, pandemia, contagiosità, quarantena,
letalità, incubazione…
Chi se lo aspettava che nella fretta di un venerdì
pomeriggio avrei dovuto raccogliere tutti i documenti ed immaginare di catapultare
il mio ufficio, replicandone l’operatività nell’intimità della mia casa, in
maniera quanto più efficiente possibile. “Beh beati voi che almeno un lavoro lo
avete” sento rimbombare “e che lo potete addirittura portare avanti da casa”,
forse è così mi fermo a riflettere. E con lo stesso entusiasmo di qualche tempo
prima, cerco di cogliere tutto ciò che di positivo mi viene in mente in un
clima surreale. Non avremmo mai avuto l’occasione di trascorrere tanto tempo in
famiglia tutti insieme, mio marito con il suo lavoro ed i suoi orari non
avrebbe mai e poi mai avuto modo di assistere così da vicino alla crescita dei nostri
piccoli. Il mio orario di lavoro ridotto, questa sì per una mamma è una bella
fortuna, mi permette di seguire meglio le attività della scuola materna: mi
cimento in sporadiche videolezioni settimanali che mia figlia, nella monotonia
delle sue giornate, attende con ansia ogni volta come il più bello degli
appuntamenti. Riscopro il piacere di bere un caffè tutti i giorni in compagnia
di mio marito, poco dopo la pausa pranzo, quel momento di calma apparente al
quale ambiamo ogni giorno. Ripesco grandi ricette e mi scopro cuoca e
pasticcera provetto e sorrido al pensiero che la mia trovata non sia stata poi
così originale, non sono certa stata l’unica ad averci pensato, anzi. Con i
social, l’unica finestra di accesso alla nuova socialità, sorrido di quanto
tutti, in fondo, facciamo le stesse cose, nel proprio nuovo microcosmo,
inconsapevoli convergiamo nelle stesse direzioni. Sorrido anche delle assurde
trovate del momento, video ed immagini esilaranti che a guardarle bene poi ispirerebbero
la migliore delle sceneggiature del Teatro del Grottesco. Decido di ridere,
meglio non fare altrimenti.
Forte di tutti questi pensieri e di una routine nuova e in
parte da scoprire, raccolgo tutto l’ottimismo di cui sono capace, ma il momento
è duro anche per chi come me è fortunato ad avere il lavoro, lo Smartworking.
Ho scelto ogni giorno di dare dimostrazione prima di tutto a me stessa di
potercela fare, di non arrendermi nemmeno al minimo dei sacrosanti diritti di
un breve congedo per Covid. E’ una battaglia che ho duramente combattuto, carica
dell’orgoglio di chi sente di dover e poter dimostrare di riuscire ad affrontare
tutto e tutto insieme, specialmente dopo essermi da poco immersa nuovamente nel
mondo del lavoro da mamma bis. Avrei vissuto il breve distacco dal mio lavoro
come un piccolo fallimento nel mio anno di conquista, inaccettabile. Ho
affrontato una pressione esterna che mai avrei immaginato prima ed ho faticato nel
fronteggiare le sfide quotidiane, nel conciliare i diversi ruoli che ricopro:
donna, mamma, moglie, lavoratrice. Mi sono sentita costantemente combattuta nel
mettere in ordine questi ruoli e quasi sempre sentivo il peso delle mie stesse
mancanze. Ho lavorato tanto, tantissimo, e faticato a casa ancor di più se
possibile. Ho sospirato per ogni settimana conclusa in qualche maniera, con la
mente ovattata dai pensieri che raramente lasciavano spazio alla più grande
delle consolazioni: essere in salute.
Non rinnego le opportunità che lo smartworking in altre
condizioni possa dare a piccole dosi a chiunque, ma porto con me la sofferenza
dell’invasione costante di tante e troppe settimane continuative di lavoro nel
calore e nell’intimità delle mura di casa mia, tra le grida incessanti dei miei
piccoli. Forse, malgrado tutto, la mia mente non è proprio pronta a fondere
tutti quei ruoli in un solo ambiente. Ho ancora la necessità di fare le corse
al mattino, di indossare una giacca in ufficio e tornare a casa per riporre
quella stessa giacca e vestire altri panni.
Dopotutto per me lo Smartworking non è stato la scoperta
della Luna, una mezzaluna semmai: la mia Luna a metà, che non rinnego, ma che
non desidero ardentemente.
E chi se lo aspettava…
Una esperienza molto ben raccontata. Spiega molto bene le situazioni vissute con le fatiche, ma anche le gioie ritrovate, e che sono le stesse che ho riscontrato nei racconti di altre giovani donne e mamme. Ornella
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